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Emergenza inflazione per Vino e materie prime costose

Emergenza inflazione per Vino e materie prime costose

Emergenza inflazione. Messaggi e riflessioni nell’“Agenda del Vino” di Federvini. Per il futuro di un settore solido e sano, ma attento al domani

Emergenza inflazione per Vino e materie prime costose
Emergenza inflazione per Vino e materie prime costose
Il futuro del vino nella “agenda del vino” di Federvini
Il futuro del vino nell’“agenda del vino” di Federvini
Il futuro del vino nella “agenda del vino” di Federvini
Il futuro del vino nell’“agenda del vino” di Federvini
Il futuro del vino nella “agenda del vino” di Federvini
Il futuro del vino nell’“agenda del vino” di Federvini
Il futuro del vino nella “agenda del vino” di Federvini
Il futuro del vino nell’“agenda del vino” di Federvini
Il futuro del vino nella “agenda del vino” di Federvini
Il futuro del vino nell’“agenda del vino” di Federvini
Il futuro del vino nella “agenda del vino” di Federvini
Il futuro del vino nell’“agenda del vino” di Federvini
Il futuro del vino nella “agenda del vino” di Federvini
Il futuro del vino nell’“agenda del vino” di Federvini
Il futuro del vino nella “agenda del vino” di Federvini
Il futuro del vino nell’“agenda del vino” di Federvini
Il futuro del vino nella “agenda del vino” di Federvini
Il futuro del vino nell’“agenda del vino” di Federvini
Il futuro del vino nella “agenda del vino” di Federvini
Il futuro del vino nell’“agenda del vino” di Federvini

Il settore vitivinicolo italiano è sano, è tutto sommato solido, è cresciuto, almeno finora, nei mercati, e vede molte delle sue realtà più importanti avere spalle solide per affrontare il futuro. Ma è anche un settore, ancora molto frammentato, e che forse ha davanti a sé sfide inedite. Non solo l’emergenza e contingente dell’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia, ma anche la recessione prevista da molti nel 2023 anche in mercati importanti, da quello domestico, che resta il più grande, a quelli di Germania e Uk, che, con gli USA (che ad oggi soffrono meno), valgono anche più della metà delle esportazioni. E, soprattutto, una forte spinta sotto il vento di quello che viene definito un “neoproibizionismo” che non solo mette a repentaglio importanti strumenti e risorse finanziarie all’interno delle politiche dell’Unione Europea, ma rischia, in nome di un salubrità esagerato e di una deresponsabilizzazione dei comportamenti dell’individuo, per minare alla base i valori stessi del vino inquadrati nel consumo mediterraneo, che è fatto di convivialità, moderazione e consumo ai pasti, con il cibo, identificando il vino, o almeno questo è il rischio che viene riproposto sempre più spesso, come bevanda che fa male alla salute tout court, con il tentativo fin qui sventato ma ripetuto e ripetuto da parte di alcuni di apporre avvertenze su bottiglie come quelle che si vedono sui pacchetti di sigarette. Affrontare il futuro, quindi, non sarà facile, ma ci sono strumenti per farlo: da un maggiore dialogo tra imprese e istituzioni, a una maggiore condivisione di sforzi e risorse tra le stesse imprese, fino all’apertura (sembra sempre più frequente) del capitale d’impresa al il mondo della finanza, non solo per avere maggiori risorse per crescere e investire, ma anche per innestare nuove, e sempre più importanti, competenze nelle aziende spesso a conduzione familiare per stare al passo con i tempi. Questa è, in qualche modo, la “Wine Agenda”, emersa dalla tavola rotonda firmata Federvini, alla Milano Wine Week 2022, con analisti di mercato e imprenditori e manager di alcune delle più importanti realtà italiane, da Vittorio Cino, alla guida il direttore Federvini, a Raffaele Boscaini, direttore marketing e coordinatore del gruppo tecnico Masi, da Umberto Pasqua, presidente Pasqua Vigneti e Cantine, a Beniamino Garofalo, amministratore delegato Santa Margherita Gruppo Vinicolo, da Giancarlo Moretti Polegato, presidente Villa Sandi, a Ettore Nicoletto, presidente & CEO Angelini Wines & Estates, tra gli altri. e, sempre più importante, le competenze nelle aziende spesso a conduzione familiare per stare al passo con i tempi. Questa è, in qualche modo, la “Wine Agenda”, emersa dalla tavola rotonda firmata Federvini, alla Milano Wine Week 2022, con analisti di mercato e imprenditori e manager di alcune delle più importanti realtà italiane, da Vittorio Cino, alla guida il direttore Federvini, a Raffaele Boscaini, direttore marketing e coordinatore del gruppo tecnico Masi, da Umberto Pasqua, presidente Pasqua Vigneti e Cantine, a Beniamino Garofalo, amministratore delegato Santa Margherita Gruppo Vinicolo, da Giancarlo Moretti Polegato, presidente Villa Sandi, a Ettore Nicoletto, presidente & CEO Angelini Wines & Estates, tra gli altri. e, sempre più importante, le competenze nelle aziende spesso a conduzione familiare per stare al passo con i tempi. Questa è, in qualche modo, la “Wine Agenda”, emersa dalla tavola rotonda firmata Federvini, alla Milano Wine Week 2022, con analisti di mercato e imprenditori e manager di alcune delle più importanti realtà italiane, da Vittorio Cino, alla guida il direttore Federvini, a Raffaele Boscaini, direttore marketing e coordinatore del gruppo tecnico Masi, da Umberto Pasqua, presidente Pasqua Vigneti e Cantine, a Beniamino Garofalo, amministratore delegato Santa Margherita Gruppo Vinicolo, da Giancarlo Moretti Polegato, presidente Villa Sandi, a Ettore Nicoletto, presidente & CEO Angelini Wines & Estates, tra gli altri.
Lo scenario di partenza, come detto, non è male: se, secondo i dati Nomisma, nel primo semestre 2022 le vendite della GDO sono diminuite del 9% in volume e del -7,5% in valore rispetto al primo semestre 2021, l’export, a fronte di volumi sostanzialmente stabili (+0,8%), cresce del 14% in valore (spinto principalmente dagli spumanti, a +25,5% in valore e +10,6% in volume, Prosecco in testa). Anche grazie alla debolezza dell’euro nei confronti del dollaro. E confortante anche la ripresa del fuori casa, settore che, nel complesso (e quindi non solo per la voce vino), dovrebbe chiudere con un fatturato di 87 miliardi di euro nel 2022, poco al di sopra del pre-pandemia Livelli del 2019, secondo Trade Lab, e con previsioni di crescita a 93 miliardi di euro nel 2023, nonostante. Ma, da qui in poi, diventa dura.I crescenti costi dell’energia e delle materie prime per il packaging, come la carta per etichette (+36%), le capsule e soprattutto il vetro (+47%), stanno mettendo a dura prova la produzione delle aziende del settore, e di conseguenza la loro crescita. Oltre al fatto che le aziende sono state colpite dall’impennata dei costi di produzione e trasporto, con l’energia, in particolare, che hanno registrato aumenti dei prezzi compresi tra il 150 e il 200%. Tutto questo in un contesto inflazionistico in cui l’85% degli italiani adotta, o è pronto ad adottare, strategie di risparmio per contrastare il calo del potere d’acquisto. E il vino, che è un bene importante ma non primario, è ovviamente tra i settori a rischio taglio. E ancora,
Anche se c’è da lavorare su questo, perché come ha ricordato Oriana Romeo (Mediobanca),facendo un confronto con l’export di vino francese, quello italiano è più concentrato, con i primi tre mercati (USA, Germania e Uk) che valgono oltre il 50% del totale per l’Italia, mentre “solo” il 39% per il francese, di “ prossimità”, poiché nei mercati “Top 10” solo USA e Canada sono quelli al di fuori dell’area europea, e “più poveri”, poiché il prezzo medio è molto più basso di quello francese, soprattutto nei primi tre mercati di destinazione. Eppure, negli ultimi 10 anni, il vino italiano, nel mondo, a +39,4%, è cresciuto più della Francia, a +29,5%. Ma, guardando alcuni parametri di performance economica, aggiunge Gabriele Barbaresco (Mediobanca), “il vino italiano, spesso messo in concorrenza con quello francese, non è molto migliore di quello spagnolo o francese. Bisogna lavorare sulla costruzione di valore, sulle aggregazioni, sulle aperture di capitale, come sta accadendo,
Come crescere ulteriormente, allora? “Più che export”, ha detto Raffaele Boscaini (Masi Agricola), uno dei nomi di punta dell’Amarone della Valpolicella e del vino veneto,“bisogna parlare di internazionalizzazione, che non significa solo vendere all’estero, ma dotarsi di strumenti e strutture che creino marchi, interesse e un sistema funzionale e logistico per portare i prodotti all’estero. Per l’Italia è difficile, vista la grande parcellizzazione del nostro settore vitivinicolo, c’è molto lavoro da fare. Ma, guardando al futuro, bisogna puntare su valori come il consumo consapevole, la sostenibilità, il verde, il benessere. Temi, già presenti, ma la cui crescita è stata accelerata dalla pandemia. Temi ormai sensibili per tutte le generazioni, ma in futuro l’acquisto “sostenibile”, ambientale, ma anche sociale sarà la norma, non la possibilità. Quando acquistiamo, soprattutto enogastronomia, guardiamo sempre di più alla back label, con attenzione alla salute, ma anche alla sostenibilità ambientale e sociale, e su questo vino sa rispondere bene. Parlando di aggregazioni, almeno nella parte distributiva, sarebbero auspicabili. In Francia c’è il modello negoziale, per esempio, ma ci vorrebbe, in generale, una rete più strutturata per portare le nostre eccellenze nel mondo”.
“Per superare tempi come questi”, ha detto Umberto Pasqua, ai vertici di Pasqua Vigneti e Cantine, altra top business veneta,“Servono spalle grandi. Non siamo come Gallo, in California, che fa anche il vetro, ma dipendiamo dagli altri. Come azienda, abbiamo raddoppiato le nostre scorte, aumentato il numero di fornitori, rendendo più efficienti le linee di imbottigliamento. Abbiamo anche dovuto fare degli aumenti di listino, ragionati e concordati, sacrificando il margine, un po’ noi e un po’ i distributori, ma abbiamo investito molto nelle risorse umane, nei venditori in tutto il mondo, anche in mercati come Israele, Sud Corea, Emirati Arabi Uniti, con risultati inimmaginabili. E abbiamo investito nei giovani con visioni e idee che guardano al domani e portano valori. I problemi sono tanti, è innegabile. Io invece sono ottimista, amo il business del vino, crediamo nel segmento premium, ci investiamo e ci crediamo molto. Da quando abbiamo ristrutturato l’azienda e poi fatto il passaggio generazionale, abbiamo raddoppiato il fatturato per vie interne, senza acquisizioni, ma posizionandoci più in alto. Se ci fosse il sottosegretario Centinaio, che spero sarà ministro dell’Agricoltura”, ha detto Pasqua, “gli chiederei di lavorare per rafforzare l’OCM, per tagliare l’Iva e per contrastare con forza iniziative come quella dell’Irlanda, che vuole mettere in la retro etichetta “il vino fa male alla salute””. Ed è proprio da questo che che vuole mettere in controetichetta “il vino fa male alla salute””. Ed è proprio da questo che che vuole mettere in controetichetta “il vino fa male alla salute””. Ed è proprio da questo chePrende il discorso l’amministratore delegato di Federvini Vittorio Cino, secondo il quale “questo attacco al mondo delle bevande alcoliche in generale, e al vino in particolare, è la minaccia più grave per i prossimi anni, perché dire o scrivere in etichetta che è dannoso per la salute attacca la reputazione del prodotto. Il vino italiano è cultura e territorio, se dici che fa male, che fa male alla salute, ne attacchi i valori. Abbiamo un modello mediterraneo fatto di consapevolezza, alimentazione, convivialità, siamo tra i maggiori consumatori di vino ma tra i più virtuosi quando si parla di abuso, significa che ci sono modelli di consumo sani. Chiediamo tre cose:un tavolo interministeriale tra Politiche Agricole, Sanità e Affari Esteri, per far sentire la nostra voce sulla scena internazionale. La nostra voce nell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) non c’è, o non è ascoltata. E l’obiettivo lanciato nell’ultimo incontro in Israele, di ridurre del 10% il consumo pro capite di alcol entro il 2025, porta in seno la riduzione della produzione. Non distinguere tra consumo e abuso è sbagliato, sono misure estreme, il governo italiano deve parlare con voce coordinata, ai tavoli internazionali spesso si sbaglia e si parla poco.In Europa, poi, pensiamo che non dovremmo sbattere i pugni sul tavolo; non c’è bisogno. Occorrono, piuttosto, messaggi chiari e una coalizione con altri paesi di tradizione mediterranea. Che, tra l’altro, sono pochi in totale. Se non ci uniamo, prevarrà la visione del Nord Europa, con tutto ciò che comporta. Bisogna, però, essere anche propositivi, affermando il modello italiano e mediterraneo.Ma anche qui – sottolinea Cino – è rinato da qualche mese un “consiglio alcolico” al ministero della Salute, ma rispetto al passato non sono presenti rappresentanti dei produttori. Ma se, come sembra, siamo parte del problema, dobbiamo essere parte della soluzione, e dobbiamo esserci. In Europa, nei prossimi mesi, ci sarà la riforma dell’etichettatura, temiamo che la fuga in avanti dell’Irlanda (che da settembre ha introdotto in etichetta “avvertimenti sanitari”) sia un esperimento per poi imporre messaggi demonizzanti a tutta la categoria. In questi giorni, in Europa, si discute del prossimo piano di promozione, e c’è chi chiede di escludere vino e carni rosse. Si parla, per l’Italia, di 350 milioni di euro all’anno per il vino, nel complesso. Che potrebbe essere perso, parzialmente o totalmente. E questo avrebbe un impatto devastante”.
Insomma, il futuro è più incerto che mai. Ma il vino, va ricordato, “è un asset importante per la nostra economia”, ha ribadito Beniamino Garofalo, Ceo Santa Margherita, una delle principali aziende vinicole italiane, con il cuore in Veneto ma cantine in molti territori top in Italia,“è un fattore chiave per l’industria turistica italiana, ed è una bandiera per l’agrobusiness. Ci sono argomenti che ripetiamo da anni, dobbiamo accelerare. Il business del vino italiano ha fatto molto, ha dialogato con le istituzioni, ha campioni come Amarone, Prosecco e Pinot Grigio, ma dobbiamo capire cosa fare d’ora in poi. Il tema della dimensione aziendale è anche legato alla digitalizzazione. Serve più managerialità, serve uno studio sui consumatori che richieda competenze, perché ogni mercato è diverso. L’e-commerce, ad esempio, ha aperto nuovi canali, ma digitalizzare non è solo questo. Le aziende devono passare da business a business a business to consumer, perché alla fine il target è il consumatore finale”, ha detto Garofalo, “ma servono interventi strutturali, manager competenti e il supporto delle istituzioni”. Per affrontare un futuro più incerto che mai. “Siamo tutti preoccupati, il 2023 è pieno di ombre”,ha sottolineato Giancarlo Moretti Polegato, alla guida di Villa Sandi, tra i più importanti produttori di Prosecco.“Ci sono materie prime che preoccupano, ma c’è anche la recessione, che in Paesi come Gran Bretagna e Germania è già iniziata, Paesi che fanno più della metà del vino italiano con gli Usa E quando questi Paesi entrano in recessione lo si sente . Dobbiamo stare con i piedi in tanti paesi, siamo in 130. La parte commerciale diventa fondamentale, perché la qualità ormai è diffusa. Ma per andare in certi paesi serve anche massa critica e il nostro settore è frammentato. Facciamo parte di una rete di grandi aziende (l’Italian Signature Wines Academy, insieme a griffe come Allegrini, Bellavista, Caprai, Feudi di San Gregorio, Fontanafredda, Frescobaldi, Masciarelli e Planeta, ndr) che si sono unite anni fa , e questo ci ha dato grande soddisfazione, nel presentarci insieme alle grandi fiere, nello scambio di informazioni. E funziona, nel rispetto dell’autonomia di ciascuno. L’Italia è un Paese maturo per il consumo, dobbiamo affrontare i mercati emergenti, ma servono risorse per farlo. L’Europa nei prossimi anni sarà in difficoltà, il vino non è una merce, c’è già un rallentamento, che va compensato nei nuovi mercati”.
A trarre le conclusioni è Ettore Nicoletto, alla guida di Angelini Wines & Estates, un’azienda vinicola che riunisce molte aziende nei territori vinicoli di eccellenza in Italia.“Dovremmo investire in reti nei mercati esteri, costruendo e sviluppando società di importazione e distribuzione, per mettere i piedi sui mercati in modo duraturo. E una delle proposte che dovremmo fare alla politica è che il piano di promozione dell’OCM includa una voce di spesa finalizzata a costruire cose durevoli come queste, non solo la pubblicità o la comunicazione che si fa di anno in anno. Guardando, invece, al confronto Italia-Francia sull’export», ha aggiunto Nicoletto, «c’è da dire che la Francia poggia su quattro pilastri che sono Bordeaux, Borgogna, Champagne e Provenza, che hanno dimensioni enormi rispetto ai distretti italiani , ad eccezione di Prosecco e Pinot Grigio. Quindi, in questo senso, perdiamo 4-2. La svolta coraggiosa sarebbe quella di cercare nuove denominazioni e tipologie su cui investire e ampliare l’offerta di questa Italia, che altrimenti rimane statico. Ma bisogna lavorare di più e meglio sulla narrativa: bisogna trovare un linguaggio per parlare al consumatore del futuro. Abbiamo parlato bene con i Boomer, ma sono in declino, hanno approfondito i Millenial, che oggi sono importanti, ma praticamente stiamo ignorando la Generazione Z, che è il futuro. Siamo appiattiti, utilizziamo modelli che sono stati importanti, ma hanno bisogno di essere adattati al dialogo con il nuovo consumatore. Non significa che dobbiamo liberarci dal trinomio uomo-territorio-vite, ma i giovani hanno a cuore la sostenibilità, la salute e così via, e con loro non possiamo usare il linguaggio dei sommelier. Bisogna cambiare il modello di comunicazione, per parlare ai consumatori che peraltro sono sempre più “interrazziali”, perché il 48% della Generazione Z, ad esempio, sono neri, contro il 28% dei Boomers. E questo ti fa pensare che alcuni codici debbano essere modificati. Poi bisogna lavorare sul valore, che fatichiamo a scaricare sul terreno rispetto alla Francia. Anche perché svolgiamo un’attività precompetitiva sui mercati internazionali molto meno rispetto a prima. Nel 2009 è partita la promozione dell’OCM con tante attività dei consorzi, nei mercati, per raccontare tipologie e denominazioni, per raccontarne le caratteristiche e preparare un terreno comune su cui poi, le aziende, hanno fatto il loro gioco. Oggi questa attività si è dimezzata, e invece sarebbe importante soprattutto nei nuovi mercati. E le politiche di marca delle singole aziende non bastano, anche se ci sono casi eccellenti. Il territorio è anche un marchio, che è un cappello comune, a vantaggio di tutti. Ma ciò che serve è una maggiore propensione delle imprese a accomunare determinate fasi dell’attività imprenditoriale. E su questo serve un salto di qualità”.
Temi complessi, riassunti, per certi versi, nelle proposte di Federvini al governo che si sta formando in queste ore: “promuovere interventi di defiscalizzazione per incentivare la crescita dimensionale e l’internazionalizzazione, per dar vita a un piano di comunicazione del vino italiano all’estero riconoscendone il valore economico , valori occupazionali e identitari, per contrastare la demonizzazione irrazionale delle bevande alcoliche da parte di organismi sovranazionali, per mitigare i costi di approvvigionamento energetico”. Idee e temi su cui è in gioco il futuro del vino italiano e dei suoi territori.Perché, come sottolinea la presidente di Federvini Micaela Pallini, “è fondamentale e urgente dare vita a misure straordinarie, immediate e di medio termine per aiutare le aziende a crescere, anche attraverso acquisizioni e aggregazioni Servono aziende più grandi e politiche per la promozione del vino italiano sui mercati esteri. Chiediamo al nuovo governo interventi concreti, anche a livello di tutela a livello internazionale, dove si tenta di demonizzare le bevande alcoliche su scala globale, senza voler considerare il vero nodo da affrontare: l’educazione al consumo responsabile ”.

Fonte: https://winenews.it

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